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La performance










L'esposizione
















L'inaugurazione









GIARDINO ZEN 1.1
installazione di Lucio Maria Morra e Astrid Fremin
presso L20 Centro Zen Metropolitano a Milano, 19-06-2019


Questo giardino zen non è un giardino zen! Perlomeno non nel senso di un giardino zen giapponese classico tradizionale. È piuttosto un'opera d'arte occidentale, un'installazione che si ispira alla tradizione dei giardini zen giapponesi, e che la reinterpreta.

Ho realizzato questo progetto assieme ad Astrid Fremin, scultrice francese, con cui collaboro da alcuni anni per la produzione di opere che esulano dalla mia pittura e dalla sua scultura; mi riferisco alle action painting performance, alla land art e, come in questo caso, alle installazioni. Anche lei pratica la meditazione zen, il che costituisce un importante presupposto condiviso.

Il primo allestimento di questa installazione (GIARDINO ZEN 1.0) ha avuto luogo presso la galleria IL FONDACO di Bra, lo scorso settembre, in occasione della mostra LA MEMORIA DEI SEGNI della calligrafa giapponese Kazuko Hiraoka.
Nonostante l'esposizione fosse già di per sé eccellente, la gallerista Silvana Peira ha felicemente intuito che integrarla con un elemento spaziale appropriato ne avrebbe reso la fruizione più articolata, ma soprattutto ha saputo cogliere l'aspetto complementare che accomuna Kazuko e me: siamo due artisti contaminati dall'incontro oriente-occidente. Kazuko, orientale, ha trovato in Occidente uno spazio aperto di espressione creativa più libera rispetto a certi canoni consolidati nella cultura giapponese. Io, artista visivo e monaco zen occidentale, ho ritrovato in Oriente quella profondità di contenuti - potrei dire "spirituali" - che in Occidente, tra arte concettuale e arte commerciale, traballa da decenni. Ed è lo stesso spirito "contaminato" che ritrovo qui, al Centro Zen Metropolitano, e che anima la feconda missione creativa del Maestro Tetsugen. Anzi, colgo l'occasione per ringraziarlo di cuore pubblicamente.

Dunque, tornando a Silvana, sapendo che sono un monaco zen e volendo fare un giardino zen, ha pensato che un monaco zen non può che essere esperto di giardini zen... Non è proprio così... Però un'intuizione giusta l'ha nuovamente avuta: un monaco zen, anche se occidentale, è familiare allo spirito originario che impregna tutta l'arte giapponese degli ultimi 7/8 secoli, influenzata proprio dallo Zen. Non mi riferisco solo ai giardini zen, ma alla calligrafia (shodo), alle arti marziali, alla cerimonia del tè, all'ikebana (la disposizione dei fiori), al teatro no, alla musica del flauto shakuhachi, ai bonsai, alla poesia haiku, alla ceramica raku, ecc.
Pur non essendo un esperto dell'antica e raffinata arte dei giardini zen, ho ritenuto di poterne garantire i principi estetici, che in giapponese vengono sintetizzati col termine wabi-sabi: la bellezza è sobria, essenziale, introspettiva, malinconica, celebra il vuoto, suggerisce più che narrare (come il dito che indica la luna), evita ogni esplicita simmetria, ecc.

In quest'opera, ora intitolata GIARDINO ZEN 1.1, abbiamo dunque cercato innanzitutto di rispettare i principi del giardino zen tradizionale, il "giardino secco", il karesansui (kare vuol dire modesto, asciutto, e sansui, letteralmente montagne-acqua, sta per natura):
1) niente acqua, solo sabbia o ghiaia e pietre o rocce; tollerato - anzi apprezzato - il muschio;
2) il flusso della rastrellatura evoca l'acqua assente, le sue onde;
3) gli unici complementi d'arredo ammessi devono paradossalmente richiamare la presenza dell'acqua, come il ponte;
4) la disposizione delle pietre è rigorosa; abbiamo optato per quella basica: 3 pietre; una alta e appuntita (detta taido), retrostante, è una montagna o un albero, è associata all'elemento aria; la seconda (detta shigyo) è arcuata, laterale, più bassa e più mossa, è associata al fuoco; la terza (detta shintai) è piatta e orizzontale e rappresenta ancora l'acqua.

D'altro canto, in questa interpretazione occidentale ci siamo presi alcune libertà:
1) innanzitutto l'installazione è interna invece che esterna per adattarla alla modalità fruitiva temporanea degli spazi espositivi per noi più prevedibili, come le gallerie;
2) di conseguenza è contenuta in un cassone ligneo piuttosto che integrata ad un contesto naturale;
3) infine la dimensione è piuttosto ridotta e la forma molto allungata (4 m x 40 cm), proprio per caratterizzarla rispetto agli standard tradizionali.

Riguardo al concetto, in quanto monaco zen ho tirato l'acqua al mio mulino: il concetto è spudoratamente buddhista.
Le 3 pietre sono i 3 Tesori: il Buddha (una montagna), il Dharma (il suo insegnamento di fuoco) e il Sangha (la comunità dei praticanti, orizzontale come l'acqua).
La rastrellatura sinusoidale è la Via. I 6 solchi sono i 6 livelli dell'esistenza, i 6 stati di coscienza (demoniaco, infernale, animale, umano, superumano e divino). Secondo me la Via si estingue di fronte ai Tre Tesori, secondo Astrid scaturisce dai Tre Tesori...
L'area spianata dietro alle pietre evoca la vacuità, ku,
al di là del Buddha stesso.
Il giardino zen è un giardino "interiore". Nella sua asciutta essenzialità apre uno spiraglio estetico e contemplativo verso la dimensione della vacuità, che eterna dimora dietro alle forme visibili.
Il ponte significa la non separazione (fu-ni, non due) tra le due sponde, tra relativo e assoluto, ma anche tra oriente e occidente.

Vorrei concludere con una riflessione di Roland Barthes nel suo testo L'impero dei segni, dedicato proprio all'estetica giapponese, in cui riferendosi ai giardini zen, ai karesansui, dice:

Nessun fiore, nessuna orma.
Dov’è l’uomo?
Nel trasporto delle rocce,
nella traccia del rastrello
e nel lavoro della scrittura.


Lucio Maria Morra




















giardino zen 1.1

[ 19-06-2019 ]
L20 Centro Zen Metropolitano
MILANO (Italia)

performance, installazione ed opere
di Astrid Fremin e Lucio Maria Morra

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